Ringraziamo i partecipanti per avere condiviso le loro esperienze e emozioni, alle quali speriamo di poter dar voce, e nelle quali, essendo anche noi emigrati, in Irlanda, ci riconosciamo.
Con affetto Davide e Rossella
Il senso di appartenenza ai gruppi è un quesito complesso in psicologia sociale.
Nessuno appartiene a un’unica comunità, possiamo essere al contempo membri di una famiglia, di una religione, di una categoria professionale, di una fazione politica, di una città, di una nazione. A sua volta, la salienza che ciascuna di queste appartenenze riveste nella vita di ciascuno di noi varia nel tempo e in relazione agli accadimenti che caratterizzano la nostra vita nel presente. Il grande psicologo tedesco Kurt Lewin sosteneva che il senso di appartenenza ai gruppi si rafforzasse nel momento in cui si avvertiva l’esistenza di un destino comune, ovvero l’interdipendenza da parte di tutti i membri della comunità nell’affrontare la stessa sfida. Valutazioni successive (Guibernau, Montserrat, 2004) hanno sottolineato come il senso di appartenenza ai gruppi sia influenzato da due variabili. La prima è appunto il senso di destino comune. La seconda è la percezione di somiglianza: più le nostre esperienze sono simili maggiore è il senso di appartenenza alla comunità. Il socio-costruttivismo descrive l’identità sociale come un processo continuo di costruzione tra il singolo individuo, il contesto storico e socio-culturale e le relazioni interpersonali (Shotter, 1993).
La situazione identitaria degli Italiani all’estero è particolarmente complessa. Da una parte vi è l’Italia, la terra madre che però si è voluto o dovuto lasciare; dall’altra una comunità nuova, costituita da altri immigrati e dagli autoctoni, nel Paese ospite.
L’emergenza Covid-19, e la sua rapida e crescente diffusione in Italia prima che in altri paesi, ha provocato una dissonanza nel vissuto identitario degli italiani all’estero. Da una parte, infatti, in Italia, il virus si espandeva rapidamente mentre misure sempre più severe venivano implementate dal governo per rallentarne la diffusione. Dall’altra, all’estero, complici numeri ancora più bassi che nello stivale, la situazione era percepita con minore preoccupazione e la vita della comunità locale continuava a scorrere più o meno normale: negozi, ristoranti e bar erano affollati, si continuava ad andare al lavoro.
Chi aveva ragione allora? Il Covid-19 era un caso italiano, una peste che forse per sfortuna, forse per mancanze del nostro governo, si era diffusa da noi, ma non avrebbe scalfito il sistema dei paesi “meglio attrezzati” nei quali gli Italiani si erano trasferiti? Oppure l’Italia era un esempio di quello che sarebbe potuto succedere in mancanza di adeguato controllo e provvedimenti tempestivi in tutti i paesi del mondo? Di fronte a un flusso di informazioni contrastanti e ambigue, a un futuro incerto, e alla doppia sfida di tutelare la salute e mantenere in piedi un sistema economico produttivo, l’Italiano all’estero si è trovato costretto a scegliere, a identificarsi emotivamente, cognitivamente ed a livello comportamentale con la narrativa della propria Nazione o con quella del Paese ospite.
Secondo i dati emersi dalla nostra indagine gli Italiani all’estero hanno avuto entrambe le reazioni. Alcuni infatti, sebbene in larga minoranza, hanno criticato la reazione italiana, poco attenta alle libertà individuali e allo sviluppo dell’economia, sentendosi tutelati meglio da un approccio avvertito come più razionale.
La maggior parte dei rispondenti però, ha visto nell’Italia una proiezione di quello che sarebbe potuto essere il futuro prossimo del Paese in cui risiedevano. La sensazione è stata quella di vivere la trama di un film già visto, mentre i cittadini del Paese ospite ignoravano la “lezione” dell’Italia. Mentre i numeri crescevano e le politiche tardavano ad arrivare molti Italiani all’estero si sono quindi sentiti poco tutelati dalle istituzioni della terra in cui vivevano, e stranieri rispetto al vissuto di chi li circondava. C’è chi si è sentito “deriso, incompreso, allarmista”, mentre si cercava “di sensibilizzare senza essere creduti”.
Allo stesso tempo le misure restrittive in Italia hanno avuto l’effetto paradossale di eliminare le barriere della distanza. Essere all’estero non è più elemento rilevante rispetto alla possibilità di comunicare, dal momento che gli incontri sociali di persona sono proibiti anche per coloro che vivono nella stessa città. Si moltiplicano quindi i raduni online, al quale l’Italiano all’estero può partecipare come pari: “Questa emergenza è servita per farci capire che si può comunicare anche a distanza”, scrivono “e sentirci vicini ma lontani. Penso sia stata l’occasione per capire chi sono i veri affetti della vita”.
L’aumento delle comunicazioni e la dissonanza rispetto alla percezione dei residenti del Paese ospite ha quindi portato la maggioranza degli Italiani all’estero a un cambiamento nella percezione del destino comune, ad uno spostamento della salienza data all’identità comunitaria con il Paese ospite, in favore di una maggiore importanza per l’identità di Italiano. Non è infatti raro che i residenti all’estero sentano, accanto agli attesi sentimenti di preoccupazione, tristezza, ansia, frustrazione e isolamento, anche un rinnovato orgoglio e consapevolezza di avere, in quanto italiani, la possibilità di aiutare i propri amici e conoscenti e le istituzioni locali a prepararsi al futuro. Informare amici e conoscenti sul rischio legato al diffondersi del coronavirus, infatti, viene indicata come una delle strategie di coping più efficaci.
Un’altra azione particolarmente utile per vivere meglio questo periodo di incertezza e precarietà sembra essere il mantenere contatti, seppure a distanza, con altri Italiani residenti nel Paese ospite. Infatti nessun altro gruppo può allo stesso tempo condividere un sentito comune e fornire indicazioni pratiche sul miglior modo di comportarsi e gestire sfide legate al lavoro, alla propria situazione di vita, o alle pratiche di rientro in Italia.
Infine, non è raro da parte dei nostri rispondenti esperire frustrazione e solitudine per la lontananza da casa, dai propri cari e dal proprio Paese, acuiti dall’impossibilità di raggiungerli e dall’incertezza della durata di tale condizione. Molti Italiani all’estero stanno, in questo momento, riconsiderando le loro scelte di vita. Infatti, quando le circostanze mutano e così repentinamente è normale esperire cambiamenti nelle proprie considerazioni e nelle proprie priorità e decisioni. Questo è frutto di un naturale processo di accomodamento ed adattamento alle condizioni presenti al quale, ipotizziamo, gli Italiani all’estero sono particolarmente abituati. È importante tuttavia che tale processo avvenga sulla base di dati concreti e razionali e che non sia dettato dall’esperienza di un disagio emotivo incontrollabile.
La ricerca condotta sugli italiani all’estero verrà sottoposta ad ulteriori analisi statistiche e tematiche al fine di descrivere e caratterizzare in maniera più dettagliata le esperienze degli Italiani all’estero durante l’emergenza Covid-19 in Italia.
Nel frattempo, ci auguriamo che le misure di contenimento dimostrino un sempre più ampio effetto.
Fino ad allora, come si dice qui in Irlanda, “stay safe”.
Dott.ssa Rossella Di Domenico, laureata in Neuroscienze, psicologa clinica e PhD student
email: [email protected]
Dott. Davide Cannata, laureato in Psicologia del Lavoro, data analyst e PhD student email: [email protected]
Riferimenti:
Guibernau, Montserrat (2004). "Anothony D. Smith on Nations and National Identity: a critical assessment". Nations and Nationalism. 10 (1–2): 125–141. doi:10.1111/j.1354-5078.2004.00159.x.
Shotter, J. (1993). Becoming someone: Identity and belonging. In N. Coupland & J. F. Nussbaum (Eds.), Discourse and lifespan identity.