Mai come in questo momento la nostra attenzione è rivolta a tutto il pianeta che è interamente coinvolto in questa pandemia, al tempo stesso ognuno sta forse incontrando in modo imponente la propria solitudine, è chiamato cioè a ricercare significati soggettivi per decifrare ciò che sta accadendo.
Le precauzioni necessarie da prendere per contenere il contagio ci offrono l’occasione per stare con noi stessi e con gli altri in una maniera nuova.
Mi sono quindi detta che il tema su cui sento maggiormente il bisogno di riflettere in questo momento è quello della solitudine, ovvero della possibilità di rendere il nostro ritiro sociale un tempo utile, e la nostra solitudine un luogo di trasformazione e di cura.
Scrive Eugenio Borgna: “Ci si avvia a liberarsi da una condizione fenomenologica di isolamento quando si riesce a trasformarlo in solitudine… che abbia a riempirsi di contenuti emozionali autentici”.
Nella nostra cultura il contatto umano è alla base delle pratiche di quotidiano scambio affettivo e riconoscimento; rinunciare a questo ci mette in crisi costringendoci a guardare il bisogno che c’è sotto.
Per non parlare di quanto in questo momento sia pesante aver perso il contatto col nostro lavoro, che ci riempiva le giornate, facendoci sentire utili, almeno per qualcosa o per qualcuno.
Quando a malincuore ci allontaniamo da ciò che c’è fuori e assumiamo una nuova posizione, cosa emerge? Emerge il dentro, tutto ciò che c’è dentro la casa, dentro i rapporti familiari, dentro il nostro equilibrio emotivo, semplicemente in questi giorni stiamo dentro.
La frenesia del fare e del fuori caratterizza in modo importante la nostra vita sociale, ci porta spesso a sentirci soli comunque, ma nel mare di attività che svolgiamo non vi diamo peso, non ci prendiamo cura di noi, non c’è tempo.
Grazie ai ritmi quotidiani ognuno ha costruito il proprio equilibrio esistenziale e dei rassicuranti riti che ci aiutano a definire la nostra identità.
Adesso, il non fare e lo stare con l’attenzione all’interno mette in crisi tutto, ci spinge a vedere ciò che stavamo trascurando ovvero i bisogni più profondi del corpo e dello spirito e questo è un movimento a cui non eravamo più abituati.
Pare che questo virus sia giunto agli uomini dal pipistrello. Nell’immaginario comune il pipistrello è associato al pericolo, al notturno, nei bestiari medievali rappresentava la lussuria e il peccato, in occidente si è soliti attribuire tratti demoniaci a questo animale, non a caso l’arcano XV dei Tarocchi di Marsiglia raffigura il diavolo con ali di pipistrello. Tuttavia quando ci approcciamo ai simboli è sempre interessante andare oltre l’univocità di un interpretazione e aprirci anche a quelle culture che talvolta fanno luce su altri aspetti del simbolo.
Mi è piaciuto infatti scoprire che nella cultura sciamanica dell’ America centrale il pipistrello rappresenta la necessità di una morte rituale per un modello di vita che non corrisponde più allo schema di crescita.
Pare che ogni sciamano durante l’iniziazione sia invitato a lasciare andare vecchie abitudini e vecchie nozioni di sé, per prepararsi a una rinascita, e raggiungere lo status di guaritore.
Questo processo incarnato dal simbolo del pipistrello, sembra essere accompagnato dal superamento di difficili prove fisiche e psichiche, durante le quali l’iniziato si trova di fronte alle sue paure più profonde e solo l’attraversamento di questo processo gli consentirà di crescere acquisendo umiltà e forza d’animo.
Starsene appeso a testa in giù, come è tipico del pipistrello, ci fa pensare inoltre alla posizione che assumono i neonati quando entrano nel mondo a partire dall’utero di una donna.
Seguendo questo stimolo mi piace pensare che questa trasformazione ci stia parlando di un movimento della coscienza collettiva, nel quale questa sofferenza può essere un invito a ripensare profondamente le priorità da tutelare per la salute dell’umanità ponendo uno sguardo più consapevole agli atteggiamenti distruttivi che rischiano di portare il pianeta verso il collasso. Anche da un punto di vista individuale il pipistrello segna la nascita di parti nuove di noi e la morte di vecchi schemi, ci invita a rallentare, a vedere nel buio, ci spinge a contrapporre il nostro solito affannarci ad uno stato meditativo profondo.
Il sottile spazio a cui intendo guardare è quella differenza tra lo stare fermi e il muoverci dentro, non è stasi, passività, ma è una attività ricettiva, femminile per parlare con linguaggio archetipico, yin se pensiamo alla filosofia orientale. Forse questo momento storico, il blocco delle attività, l’interrompersi dei contatti ci impone di ascoltare, accogliere con più attenzione ciò che viene da noi e dagli altri. Abbiamo l’occasione per avere nuove intuizioni, per aspettare, per capire più in profondità. Abbiamo tempo.
Non ci stupisce infatti che ad avere più difficoltà adesso siano le persone che abitualmente utilizzano il fare per evitare di incontrare il proprio mondo interno.
L’invito per tutti è quello di considerare questa frustrazione come un’opportunità per ascoltare i bisogni del corpo e dello spirito, conoscersi meglio e perché no, migliorare il proprio equilibrio.
Possiamo cominciare per esempio scrivendo, scegliamo di dedicarci un tempo quotidianamente per chiederci come stiamo, cosa ci manca, chi e cosa ci fa sentire bene, di cosa ci siamo veramente stancati, quali sono i nostri obiettivi futuri, e qual è il nostro posto sicuro; questo può essere un modo per mettere ordine nel groviglio di aspettative, ansie e caos del nostro sentire quotidiano.
Possiamo dedicarci a quel lavoro creativo che abbiamo sempre accantonato in mancanza di tempo, e che adesso può diventare un importante canale espressivo per tutte quelle emozioni che non siamo abituati a condividere.
Emergono più chiaramente oggi le nostre insoddisfazioni e i nostri desideri, possiamo finalmente dire la verità a noi stessi, lasciare andare tutto ciò che in fondo non è veramente importante, possiamo comunicare alle persone care l’affetto che spesso censuriamo, possiamo guardare veramente gli altri per come sono mentre insieme a noi provano a trasformare le loro vite.
Allontanarci dal sociale ci svela a noi stessi, ci consegna la nostra preziosa nudità, e parlare agli altri da questa voce più interna, più profonda ci pone in una disposizione di cura e attenzione, forse nuova, forse faticosa, ma è quello sforzo che caratterizza ogni movimento di crescita, di espansione delle nostre capacità, forse potremmo addirittura tra un po’ considerarlo un dono.
“L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggano a vicenda, si tocchino, si salutino” R. M. Rilke
Alexandra Palamidesi,
Dott.sa in Psicologia - Dott.sa in Filosofia e Counselor della Gestalt
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