La diffusione pandemica del virus covid-19 sta portando con sé la realizzazione di paure ataviche, che hanno l’isolamento come risposta unanime di difesa e un atteggiamento di diffidenza nei confronti della comunità a cui si appartiene. Ma gli uomini sono animali sociali, che vivono di rapporti e si nutrono del confronto con gli altri; chiusi tra le mura delle abitazioni per un tempo indefinito, aprono il proprio animo a paura e angoscia che li raggiungono più veloci del virus stesso. La differenza tra paura e angoscia è che la prima ci accompagna da sempre, è una delle emozioni universali che ci permette di attenzionare il pericolo, ed è sempre riferita a situazioni concrete. Lo stato di angoscia, invece, si manifesta in situazioni di instabilità e incertezza, quando non abbiamo chiarezza del pericolo che sentiamo come imminente. Il filosofo Soren Kierkegaard riconosce nell’angoscia il sentimento del “possibile” collegato alla condizione temporale del futuro, dell’avvenire, ma allo stesso tempo vede in questo anche l’espressione della capacità di ricordare il passato e progettare il futuro.
L’unica soluzione all’angoscia secondo Kierkegaard non è la prevenzione o il calcolo delle probabilità, poiché “nel possibile, tutto è possibile”, ma l’abbandonarsi alla fede religiosa, alla fiducia assoluta e incondizionata nell’Eterno che libera l’uomo dalla concentrazione su se stesso e sul finito. E la stessa risposta ha raggiunto poche sere fa tutti noi, attraverso le parole di Papa Francesco che “come una carezza all’umanità smarrita” ci ha parlato di fratellanza, di amore, di condivisione. Ci ha ricordato che apparteniamo tutti a una stessa comunità, un termine che può essere ricondotto a communitas e quindi a Koinonia che sta a significare “unione”, dove il destino del singolo è definito dalla comunità di appartenenza. “Ci credevamo sani in un mondo malato” dice ancora il Pontefice. Bisogna allora riscoprire i territori dimenticati, quelli che avevamo smarrito nella conduzione frenetica della nostra quotidianità come la vita familiare, lo sguardo di un figlio, di un passante, di noi stessi. E in questo tempo sospeso ci accorgiamo umani, alla ricerca del sentimento della pietas come virtù sociale dove ci si realizza solo se inseriti armonicamente in una trama di valori. Si riscoprono così molti aspetti emozionali positivi che diventano una risorsa come la solidarietà, la carità, la compassione che ci spingono a concentrarci sugli effetti e non sulle cause di ciò che sta accadendo e a renderci migliori. Molti iniziano a recuperare le amicizie perse, a ritrovare la fatica di impegnarsi nelle cose che si sono da sempre desiderate, a dedicarsi a se stessi, a coccolarsi, a coccolare. E accade che anche questa pandemia diventi un occasione per ritrovarci in un modo nuovo, per dedicarci alla riflessione e ad una differente percezione del tempo e dimostrare al mondo che nulla è stato inutile. Dott.ssa Rosalia Rossi, pedagogista, docente (scuola secondaria superiore) esperta in disagio e devianza minorile . mail: [email protected]
3 Comments
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